La nuova musica1 , o “musica contemporanea”, nasce come risposta al Romanticismo e, in particolare, all’estetica romantica che privilegiava il rapporto armonioso tra l’uomo e la natura.
Fondamentale precursore della nuova musica è la dodecafonia2 nella quale non contano più le regole dell’armonia tonale ma quelle della pantonalità3 che permettono all’autore di creare brani complessi e strutturati. Parallelamente alla dodecafonia (di nascita tedesca) abbiamo le esperienze del franco-americano Edgard Varèse che opera nell’emancipazione del rumore e del ritmo. Inoltre, sempre in questo periodo, musicisti come Igor Stravinskij e Béla Bartók introdussero, rispettivamente, nella “musica colta” nuove concezioni del ritmo e il linguaggio della musica popolare.
Ma, adesso, ascoltiamo un pezzo di un precursore della nuova musica per capire praticamente di cosa stiamo parlando.
< Integrales (1925) di Edgard Varèse >
In questa opera avvisiamo come siano sempre meno presenti gli strumenti che hanno una relazione con la cultura classica europea e, viceversa, sono presenti strumenti a fiato e percussione che creano effetti timbrici estranei fino ad allora. Per Varèse, che tra le altre cose era studente di scienze e matematica, la fondazione di una nuova musica non può chè prescindere dalla radicale trasformazione dei parametri tradizionali, sonori e concettuali. Questa vera e propria rivoluzione non può realizzarsi, dunque, senza mettere in discussione i concetti di discorso musicale, di frase melodica (“Quando la melodia predomina, la musica diventa soporifera”), di tema e deve coinvolgere tutti gli elementi organizzativi, esecutivi e compositivi della creazione musicale4.
L’autore ricerca la “purificazione” della musica da tutti quei fattori che fanno in modo che essa diventi “narratrice” di qualcos’altro che sia di matrice extra-musicale. Molto significativo, a proposito, una frase di Varèse:
“La musica non è un racconto, non è un’illustrazione, non è un’astrazione psicologica o filosofica. E’ molto semplicemente la mia musica.”
< Ionisation (1929-31) di Edgar Varèse >
Rompe con ogni forma melodica, con ogni dettame accademico.
Anche se, tuttavia, lo spazio sonoro è organizzato con molta coerenza e seguendo uno schema metrico tra gli strumenti stessi5. Questa opera è composta da soli strumenti a percussione: quarantuno strumenti divisi tra membranofoni, metallofoni, idiofoni a frizione, a scuotimento, sirene e un pianoforte utilizzato soltanto per produrre cluster (agglomerati di suoni contigui che coprono un ampio intervallo) nel registro grave6. La melodia scompare, almeno nella accezione comune del termine, definitivamente dalla musica. Ogni rifermento al passato non viene criticato e aggredito dal suo negativo, ma viene completamente cancellato, abrogato7.
Fino alla fine del periodo nazista, e alla sua totale annullamento, i musicisti avanguardisti vennero etichettati come artisti producenti una “musica degenerata” e per questo da vietare e perseguitare. Molti di loro dovettero infatti fuggire, per evitare la morte. Questa fuga si verificò, in particolar modo, a seguito della mostra musicale “Musica Degenerata” tenutasi a Düsseldorf nel 1938, in occasione delle Reichsmusiktage (“giornate musicali del Reich”)8.
Ma il “caso nazista” non fu l’unico. Anche nell’Unione Sovietica il Regime cercò, e riuscì, di assoggettare tutte le forme d’arte alla linea di pensiero del partito. Questo avvenne in particolar modo nell’epoca Staliniana.
Inizialmente queste politiche, soprattutto quella nazista, provocarono una fuga di cervelli enorme. Molti musicisti emigrarono, infatti, verso gli Stati Uniti che venivano considerati come una terra fertile e priva di ogni tradizione e, perciò, di pensiero liberale
Mentre gli artisti che scelsero di rimanere in patria, una volta finito il periodo di regime, si ritrovarono con la necessità di creare ex-novo un nuovo stile musicale. Si ritrovarono, cioè, nello stato di aver “dimenticato” i musicisti precedenti perché durante la guerra quella musica era vietata dai nazisti, si ritrovarono quindi senza storia9.
Questa necessità venne colmata dalla creazione di scuole musicali in cui gli artisti si riunivano, discutevano e presentavano le proprie opere e, soprattutto, cercavano nuovi linguaggi compositivi.
Una di queste “accademie” venne creata a Darmstadt e, una volta fondata, gli venne dato il nome di “Darmstadt New Summer School” ad indicare che i corsi si svolgevano d’estate. Ogni stagione, infatti, i più “accreditati” musicisti dell’epoca svolgevano dei seminari sotto forma di laboratori: dove oltre che ascoltare si creava musica.
Uno degli insegnanti più influenti nei primi anni a Darmstadt fu il francese Olivier Messiaen, che nelle sue opere accoglieva anche tecniche musicali prese a prestito da culture musicali extraeuropee, le quali venivano a fare parte del suo personale linguaggio compositivo10.
Non ci meravigliamo, una volta analizzato il contesto della Scuola di Darmstadt in cui lavora, che questo musicista abbia sperimentato una notevole quantità di “stili” musicali. Questi stimoli artistici variano dalla interpretazione a mezzo musicale del dogma cattolico al canto gregoriano, dalla sperimentazione della nuova musica al canto degli uccelli. A proposito di questo punto è curioso notare che il Messiaen era una abile ornitologo e, proprio da questo suo hobbies, riuscì a studiare scientificamente gli uccelli per comporre parte della sua musica11.
Soffermiamoci, però, ora, sulla musica d’avanguardia creata da lui seguendo il filone della scuola di Darmstadt.
L’opera prima che scrisse per Darmstadt fu sicuramente “Quatre études de rythme”, opere per pianoforte, composte tra il 1949 e il 1950 ai quali appartiene il celebre “Mode de valeurs et d’intensités (1949)”12.
< Mode de valeurs et d’intensités (1949), Olivier Messiaen >
Questa composizione può fornire agli ascoltatori il modo in cui l’autore intende la “nuova musica”. Infatti, restando comunque fedele alla sua cultura musicale, il Messiaen sperimenta nuovi modi di “vedere” e combinare il registro, la durata, l’attacco e la dinamica del pezzo. Particolare è anche il metodo neutro e astratto in cui vengono trattate queste combinazioni di suono13.
A questa composizione seguirono altre due di stampo Darmstadt (la Messe de Pentecôte per organo -1950- e il Livre d’orgue -1951-) in cui il musicista usò anche le procedure numeriche astratte attraverso la registrazione della musica14.
A susseguirsi di questi studi musicali attuati dall’autore nell’ambito della Scuola di Darmstadt abbiamo la composizione di diversi pezzi per lo studio del canto degli uccelli.
Per finire queste composizioni l’artista viaggiò per tutta la Francia, cercando gli uccelli nel loro Habitat naturale, ascoltandoli così attentamente da poterli trasporre fedelmente in musica.
La sua prima “Birdsong” è Réveil des oiseaux (1953) a cui seguì pochi anni dopo, nel 1958, il Catalogue d’oiseaux per solo piano, in cui il musicista crea un vero e proprio catalogo ornitologico15. Ma il vero compimento musicale per questo “genere” lo abbiamo con Chronochromie per orchestra del 1959–60.
< Chronochromie (1960) di Olivier Messiaen >
Pare essere persi tra le montagne, flussi d’acqua e piccoli uccelli. Tutto, ancora una volta, ci sembra come astratto.
Per analizzare in un modo più corretto e approfondito l’idea del compositore citiamo le sue stesse parole:
«L’uccello… canta a tempi estremamente veloci che sono assolutamente impossibili per i nostri strumenti; dunque sono obbligato a trascriverlo ad un tempo più lento. Per di più, questa rapidità è associata ad una estrema acutezza, essendo un uccello in grado di cantare in registri così alti da essere inaccessibili ai nostri strumenti; perciò trascrivo il canto da una a quattro ottave sotto. E non è tutto: per la medesima ragione sono obbligato a sopprimerne i microintervalli che i nostri strumenti non riescono a suonare.»16
Questa citazione spiega, abbastanza chiaramente, la gestione del ritmo e del tempo in questo autore.
Questa composizione musicale fu commissionata dal Festival di Donaueschingen.
Piccola parentesi.
Da notare come, nel 900, si ha la nascita di numerosi festival e manifestazioni musicali che accolgono musicisti con nuove idee musicali e con nuovi pezzi da far ascoltare dapprima al piccolo pubblico, composto perlopiù da musicisti, per poi arrivare alle grandi masse.
Questa politica fu attuata anche nella musica “non colta” in cui i finanziatori videro una buona strada per aumentare i guadagni.
Famosi esempi italiani ne sono il Festival di Sanremo e il Festivalbar .
Torniamo, però, a Messiaen. Come già detto questo musicista era un insegnante nella scuola di Darmstadt.
Inoltre fu anche insegnante di analisi e composizione dal 1947 al 1978 quando dovette andare in pensione per le severe regole del conservatorio17.
Uno dei suoi più famosi e prolifici allievi fu sicuramente Karlheinz Stockhausen che introdusse nella “nuova musica” la musica elettronica. E’ importante evidenziare che con il termine “musica elettronica” si caratterizzano tutte le forme di musica che operano intrinsicamente con strumenti elettronici a partire dal 1897 quando fu inventato, a cura di Thaddeus Cahill, il Telharmonium (strumento che serviva per la diffusione di musica via cavi telefonici, mai compiuto)18.
L’innovazione tecnologica è presente in maniera dirompente nelle opere dello Stockhausen, che, a differenza degli altri musicisti precedenti, può usare lo strumento della musica elettronica senza problemi di carattere economico e di reperibilità degli strumenti stessi. Infatti le macchine che vengono usate per questo genere di musica erano, e sono, molto costose e anche reperibili in pochi conservatori o scuole che accettavano questo genere di musica.
<Telemusik per nastro magnetico(1966) di Karlheinz Stockhausen>
Come già accennato questa opera porta a compimento il cammino della musica elettronica nella “nuova musica” che già gli altri compositori avevano tentato ma che per mancanza di fondi non poterono mai finire.
In Telemusik frammenti di musica folcloristica e popolare di ogni continente e paese sono sottoposti a una elaborazione elettronica di mostruosa abilità, che non si accontenta di sovrapporre o accostare, ma mira a realizzare un’intima compenetrazione fra i materiali disparati mediante interpolazioni e scambi reciproci di ritmi e di timbri, nell’intento di neutralizzare il diverso, e sciogliere attriti e tensioni in un decorso sonoro continuo19.
Stockhausen fece padre il pensiero di Béla Bartók per il quale nella “musica colta” andava inserito il linguaggio della musica popolare e folcloristica come già accennato in prima pagina.
< Hymen (1967) di Karlheinz Stockhausen >
Infatti nella seconda sua opera più importante, Hymen, il musicista unisce tutti gli inni nazionali seguendo una metrica allegorica molto precisa. L’opera si compone, infatti, di quattro Regioni: ogni regione ha determinati inni centrali intorno ai quali ruotano incipit di altre sigle sonore nazionali. La prima Regione si basa sull’Internazionale e sulla Marsigliese ed è di costruzione rigorosissima (l’autore l’ha voluta dedicare a Pierre Boulez). La seconda Regione ha quattro inni: quello della Repubblica Federale Tedesca, un gruppo di inni africani, mescolati o alternati con quello Russo, e infine un inno tedesco del passato (la seconda Regione è dedicata a Henri Pousseur).
Tre sono i centri della terza Regione: la ripresa dell’inno russo (che è l’unico composto esclusivamente di suoni elettronici), l’inno americano e quello spagnolo (il tutto dedicato a John Cage). La quarta Regione si basa sull’inno svizzero e un altro che dovrebbe appartenere a un inesistente e utopistico regno della Inni-Unione nella Armondia-tra Pluramondi (ed è dedicata a Luciano Berio). Nonché dei suoni elettronici propriamente detti, Hymnen si serve della moltiplicazione stereofonica della sonorità di alcuni strumenti tradizionali quali la percussione (su cui spicca il tam tam), il pianoforte e la viola20.
La “nuova musica” è stata, fin dai suoi primissimi esordi con Varèse e poi con l’affermazione attraverso la Scuola di Darmstadt, sempre alla ricerca di nuovi linguaggi musicali perché, come abbiamo detto, si è trovata in un momento storico senza linguaggi poiché abrogati dalle dittature.
Ma la stessa situazione si è venuta a creare anche per i musicisti che producevano musica popolare come ad esempio, le canzoni.
Si viene, quindi, a giustificare l’enorme cambiamento musicale che è avvenuto negli ultimi sessant’anni, figlio di una instabilità delle forme espressive. Non si sapeva, e non si sa tutt’ora, che musica fare e come farla.
Per evidenziare l’enorme cambiamento che in sessant’anni c’è stato nella nuova musica (e in generale nella musica “colta” a partire da inizio secolo) possiamo paragonarlo a quello che c’è stato nella canzone popolare italiana.
< Mi ritorni in mente di Lucio Battisti (1970 ca) >
< Almeno l’inizio di Lucio Battisti (1996) >
E’ evidente che siamo nel mezzo di un cambiamento non solo musicale, ma anche storico e geopolitico.